Ossa così fragili da fare male: il dolore sintomo rivelatore dell’osteoporosi

di Elena Meli –  Corriere della Sera Salute

Quando si parla di questo problema si pensa alle fratture ma anche la sofferenza può essere un indice di malattia. Esistono però degli efficaci trattamenti analgesici

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La parola osteoporosi fa pensare soprattutto a ossa fragili, che si spezzano con un nonnulla, ma uno dei sintomi più frequenti è il dolore osseo. Profondo, continuo, fastidioso e troppo spesso ignorato: alla valutazione e alla gestione del dolore si pensa in caso di fratture evidenti, come quella del femore o della spalla, ma a quel male sordo, non di rado alla schiena, che accompagna le giornate di tantissime persone pochi prestano attenzione. Lo ha sottolineato anche una delle più ampie valutazioni sull’impatto dell’osteoporosi nel mondo, pubblicata di recente su The Lancet, secondo cui proprio le fratture vertebrali sono le più sottostimate, oltre a causare più spesso «solo» dolore come sintomo.

Dolore lancinante

«Il dolore osseo da osteoporosi è largamente trascurato e sottotrattato, a parte i casi di frattura di femore o della spalla che ricevono sempre una terapia fin dall’arrivo in Pronto soccorso», conferma Maria Luisa Brandi, presidente della Fondazione Firmo per le Malattie delle Ossa. «Spesso poi è confuso con il dolore articolare cartilagineo, il primo a cui si pensa; invece oltre alla cartilagine c’è anche l’osso, che può indebolirsi e fratturarsi dando un dolore acuto e intenso, lancinante, molto tipico. Molti pazienti lo definiscono come una scossa elettrica».

Vertebre rotte

Colpisce soprattutto la schiena, quando una vertebra si rompe: nell’iter usuale i pazienti provano a curarsi con antidolorifici non steroidei, che però non alleviano il male. Così iniziano a preoccuparsi: «Il pensiero va spesso al dolore oncologico, che però si riconosce perché è sempre presente; quello da fratture vertebrali invece passa, quando ci si mette a letto o si sta fermi», puntualizza Brandi. «Spesso trascorrono settimane prima che i pazienti vengano sottoposti a una radiografia scoprendo che c’è una vertebra fratturata, di cui il dolore altrettanto spesso è l’unico sintomo. Nel frattempo però un dolore che non passa per settimane può cronicizzare, diventando più difficile da gestire».

Le terapie

Nel dolore da osteoporosi capita di frequente, così se si sospetta una frattura vertebrale occorre sottoporsi a una radiografia e in caso di diagnosi è necessario chiedere che il dolore venga trattato: «Le terapie antifratturative nel lungo periodo riducono anche il dolore osseo, ma serve tempo prima di avere l’effetto perciò è doveroso intervenire con gli analgesici scegliendo fra tutte le possibili opzioni. «I pazienti devono chiedere di essere gestiti con una terapia del dolore adeguata, in un centro specializzato se necessario, perché è un loro diritto che sarà ribadito anche nelle prossime Linee guida dell’Istituto superiore di sanità», conclude Brandi.

Le conseguenze della pandemia

I pazienti con osteoporosi sono in gran parte peggiorati, nell’ultimo anno e mezzo: è un effetto della pandemia. Lo sottolinea l’International Osteoporosis Foundation, specificando che è stata più difficile la prevenzione ma anche la terapia delle ossa fragili, e lo hanno verificato sul campo gli specialisti, come precisa Maria Luisa Brandi, presidente Firmo: «È stato un anno drammatico, tutti i pazienti sono peggiorati. In qualche caso perché sono state sospese le terapie, in tutti perché è venuto meno il movimento. Tanti sono stati mesi e mesi senza muoversi e la densità di massa ossea ne ha fatto le spese: stiamo vedendo una riduzione evidente nelle densitometrie. Fare movimento in quantità sufficiente è perciò la lezione da trarre da questi mesi: si tratta del miglior modo per prendersi cura delle proprie ossa, anche quando sono già fragili». Intanto continuano nell’ambito del progetto europeo EXSCALATE4CoV gli studi per valutare se il raloxifene, un farmaco anti-osteoporosi, possa avere un ruolo nella terapia del Covid-19. Quel che pare ormai sicuro, e confortante, è che né l’osteoporosi di per sé, né le terapie utilizzate più comunemente per trattarla sembrano modificare il rischio di contagio: uno studio italiano recente che ha valutato retrospettivamente i dati di circa 64mila pazienti trattati con bisfosfonati ha verificato che non c’è differenza fra incidenza dell’infezione, ricoveri e decessi fra chi utilizza i farmaci per l’osteoporosi