U.O.C. CHIRURGIA GENERALE Teramo (aggiornato 01.2024)
Dott. Ettore Colangelo
CHIRURGIA DELLA PARETE ADDOMINALE - CHIRURGIA GENERALE Teramo
INFORMATIVA TECNICA PER ERNIA INGUINALE E CRURALE (O FEMORALE)
Cosa sono le ernie della regione inguino-crurale ?
La regione inguino-crurale (o inguino-femorale), localizzata lungo la linea che unisce l’osso dell’anca al pube da entrambi i lati, rappresenta il punto in cui i tendini della muscolatura addominale si fissano alle ossa del bacino. A livello dell’inguine, la parete addominale è attraversata da un canale (il canale inguinale) che mette in comunicazione la cavità addominale con i tessuti più superficiali (spazio sottocutaneo) a livello del pube. Il canale inguinale, nell’uomo, serve al passaggio delle arterie, delle vene e dei nervi diretti ai testicoli e dei dotti deferenti. Questo insieme di elementi è detto “funicolo” o “cordone” spermatico. Nella donna, invece, il canale inguinale è attraversato da un legamento (legamento rotondo) che, partendo dall’utero, esce dalla cavità addominale terminando in prossimità della vagina con la funzione di sorreggere l’utero stesso. L’anello crurale (o femorale) è situato appena al di sotto del canale inguinale nella parte più vicina al pube; è un orifizio delimitato da tendini attraverso il quale passano, da ogni lato, le arterie, le vene e i nervi diretti alla gamba. Sia il canale inguinale che l’anello femorale rappresentano punti di debolezza che possono andare incontro ad un progressivo cedimento: la formazione dell’ernia consiste nel passaggio di organi (generalmente l’intestino) o tessuti (tessuto adiposo) che dall’interno dell’addome attraversano queste zone di debolezza e sporgono a livello del sottocute, manifestandosi solitamente come un rigonfiamento. A volte questo difetto è presente alla nascita (ernia congenita) mentre, più spesso, il cedimento dei tendini avviene progressivamente per la concomitanza di più fattori (predisposizione individuale, eccessivo carico, sforzi fisici, fisiologico invecchiamento dei tessuti).
Cosa succede se l’ernia non viene operata ?
Le ernie possono essere del tutto asintomatiche, cioè essere visibili senza dare alcun disturbo. Generalmente causano fastidio o dolore soprattutto in concomitanza di affaticamento, esercizio fisico, lunghe camminate, stazione eretta prolungata oppure per sforzi addominali intensi (tosse, starnuti, defecazione) situazioni in cui il gonfiore risulta più evidente. Spesso l’ernia (e i suoi disturbi) diminuiscono o addirittura scompaiono a riposo o stando sdraiati. A volte, invece, per far rientrare l’ernia è necessario esercitare qualche manovra di compressione. Col tempo, tuttavia, la tendenza è quella del progressivo peggioramento sia delle dimensioni (a volte le ernie inguinali – in posizione eretta – raggiungono addirittura i testicoli gonfiando lo scroto) che dei disturbi. Il rischio più grave, peraltro imprevedibile, è quello dello strozzamento dell’ernia. Ciò accade quando l’ernia non riesce più a rientrare neppure con la pressione e diventa dura e dolente. Questa evenienza può causare complicazioni molto gravi (dall’occlusione intestinale alla necrosi dell’intestino con peritonite) che obbligano ad un intervento chirurgico d’urgenza.
Ernioplastica inguinale per via anteriore
Il metodo classico per la riparazione dell’ernia inguinale o femorale consiste nel praticare una piccola incisione cutanea a livello dell’inguine (in corrispondenza del gonfiore visibile causato dall’ernia) e scoprire il canale inguinale (o l’anello crurale) . Una volta identificata l’ernia, questa viene separata dalle altre strutture anatomiche che attraversano il canale inguinale (funicolo spermatico, legamento rotondo) e reintrodotta in addome. La riparazione del punto debole, che una volta si eseguiva ricucendo con fili robusti i muscoli e i tendini, oggi avviene nella maggior parte dei casi mediante l’interposizione di reti in materiale sintetico. Si tratta di materiali non riassorbibili (il più utilizzato è il polipropilene) biocompatibili, cioè assolutamente ben tollerati e senza rischio di rigetto. Queste reti (o protesi), di cui esistono vari tipi e forme, fungono da rinforzo della parete muscolare. L’assenza di punti in tensione riduce molto il dolore postoperatorio ma anche il rischio che i tessuti, sottoposti a trazione, si lacerino nuovamente. Fra le varie tecniche di ernioplastica per via anteriore con protesi, quelle abitualmente utilizzate dalla nostra équipe sono rappresentate dalla tecnica di Trabucco, che non prevede punti di fissaggio della rete dopo il suo posizionamento, e dalla tecnica di Lichtenstein, che invece consiste nel posizionamento di una rete opportunamente sagomata e fissata ai muscoli e ai tendini lungo il suo perimetro con qualche punto di sutura. Non vi sono sostanziali differenze nei risultati delle due tecniche la cui scelta è fondamentalmente a discrezione dell’operatore.
Trattandosi di una procedura che interessa i tessuti superficiali e che non comporta tensione o trazione sui tessuti, l’intervento viene solitamente eseguito in anestesia locale, mediante infiltrazione dell’anestetico nella zona operata, oppure in anestesia spinale. Generalmente la dimissione avviene il giorno stesso dell’intervento oppure la mattina successiva.
Le complicanze dell’ernioplastica inguinale per via anteriore
Le complicanze di questo intervento sono rare. Si possono verificare:
- ematomi (stravasi di sangue nel tessuto sottocutaneo) in corrispondenza della ferita, che possono eventualmente estendersi anche allo scroto e al testicolo; solitamente non richiedono alcun trattamento particolare, ma solo l’attesa del loro progressivo riassorbimento;
- infiammazioni del funicolo spermatico e a volte del testicolo, curabili con antinfiammatori e antibiotici, ma che eccezionalmente possono portare alla atrofia del testicolo stesso;
- rare infezioni della ferita, che richiedono un trattamento con antibiotici e medicazioni locali; eccezionalmente l’infezione si può estendere alla rete, che in tal caso andrebbe rimossa;
- a distanza possono rendersi evidenti lesioni delle fibre nervose appartenenti alla zona operata, che si manifestano con la persistenza di dolori localizzati o irradiati alla gamba e/o con alterazioni della sensibilità delle zone cutanee circostanti;
- il rischio di recidiva (cioè di ricomparsa dell’ernia) è intorno all’1%. In tal caso si ripresenta la sintomatologia precedente ed è indicato procedere a un nuovo intervento chirurgico. La recidiva si può manifestare anche a distanza di molti anni dall’intervento di ernioplastica.
INFORMATIVA TECNICA PER LAPAROCELE
Si intende per laparocele la formazione di un’ernia su una cicatrice, esito di un intervento di chirurgia addominale.
In circa il 10% delle incisioni chirurgiche addominali, nel corso del tempo si può verificare un cedimento della parete muscolo-fasciale (al di sotto quindi della cute e del sottocute), attraverso il quale fuoriesce il peritoneo, lo strato più interno della parete addominale. Questo, non possiede capacità contenitiva e pertanto fuoriesce dalla porta erniaria che si è formata costituendo il “sacco” del laparocele. Questa condizione si manifesta clinicamente come un gonfiore che compare in corrispondenza della cicatrice chirurgica. Fattori predisponenti alla comparsa del laparocele sono l’età avanzata, il sovrappeso o l’obesità, la pregressa infezione della ferita e la tipologia ed estensione della incisione chirurgica utilizzata: le incisioni di dimensioni maggiori correlano con un rischio aumentato di laparocele.
Il laparocele può essere del tutto asintomatico, cioè essere visibile senza dare alcun disturbo. Generalmente causa fastidio o dolore soprattutto in concomitanza di affaticamento, esercizio fisico, lunghe camminate, stazione eretta prolungata oppure per sforzi addominali intensi (tosse, starnuti, defecazione) situazioni in cui il gonfiore risulta più evidente. Spesso il laparocele non risulta più evidente stando sdraiati. A volte, invece, per far rientrare la tumefazione nella sede del laparocele è necessario esercitare qualche manovra di compressione.
Un laparocele può andare incontro alle complicanze di tutte le ernie della parete addominale: ha la tendenza ad ingrandirsi, può incarcerarsi e strozzarsi, può determinare disturbi del trofismo del tessuto cutaneo che lo ricopre. Le complicanze del laparocele possono anche necessitare di un intervento chirurgico d’urgenza per essere risolte.
Intervento di riparazione del laparocele
Il trattamento chirurgico del laparocele prevede sostanzialmente due vie d’accesso; entrambe prevedono un’anestesia generale. Solo in casi eccezionali, un laparocele di piccole dimensioni può essere trattato con altre forme di anestesia.
La prima via d’accesso che può essere proposta, quella tradizionale, utilizza la stessa cicatrice come via di accesso chirurgico: attraverso questa incisione di isolano il sacco peritoneale e la porta del laparocele; si riduce così il laparocele all’interno dell’addome e, generalmente, si posiziona una rete di materiale sintetico il cui scopo è quello rinforzare la parete nella sede in cui si è verificato il cedimento parietale. Tale rete può essere posizionata all’interno dell’addome (intraperitoneale) o nell’ambito dello spessore della parete addominale.
Il principale svantaggio della tecnica tradizionale è la possibilità che si formi, al di sotto degli strati superficiali, un accumulo di secrezione sierosa la cui presenza richiede la permanenza, talvolta prolungata, di uno o più drenaggi aspirativi che generalmente vengono posizionati al termine dell’intervento. Questo tipo di intervento è la tecnica cosiddetta “standard”. Viene utilizzata sempre per un laparocele di grosse dimensioni e, per un laparocele di minori dimensioni, in accordo con le indicazioni del chirurgo.
La seconda soluzione prevede l’utilizzo della chirurgia laparoscopica per accedere alla cavità peritoneale e quindi per visualizzare “dall’interno” la zona di cedimento fasciale: utilizzando 3 o 4 piccole incisioni chirurgiche addominali, è possibile introdurre nella cavità addominale telecamera e strumenti chirurgici. Dopo aver ridotto il contenuto del laparocele, si procede al posizionamento, all’interno del peritoneo di una rete che viene fissata alla parete addominale, generalmente con delle “viti” metalliche. In genere, al termine dell’intervento laparoscopico, non vengono posizionati drenaggi, mentre si utilizza una medicazione compressiva sulla sede del laparocele
Si tratta di un procedimento mini-invasivo che sembra avere qualche vantaggio in termini di dolore post-operatorio, degenza e tempi di ripresa delle normali attività quotidiane e lavorative, a parità di risultati a distanza.
Le indicazioni migliori a questa procedura sembrano essere infatti quelle del laparocele di piccole dimensioni a dovuta distanza dai punti di confine della parete addominale (arcate costali, ossa del bacino)
Uno degli ostacoli principali a questa tecnica chirurgica è rappresentato dalla presenza delle aderenze addominali, esito normale degli interventi chirurgici laparotomici, che possono rendere difficoltosa e talvolta prolungata la liberazione della superficie interna del laparocele. Tali aderenze possono essere causa di una “conversione”; ossia della necessità che l’intervento chirurgico, iniziato per via laparoscopica, debba essere convertito in intervento tradizionale. In questo caso al risveglio, troverà sul suo addome tante incisioni chirurgiche.
Queste considerazioni fanno si che la scelta della via d’accesso per la riparazione di un laparocele debba essere valutata attentamente nei singoli casi al fine di poter verificare quella che meglio si adatta alle condizioni specifiche del singolo paziente e del singolo laparocele.
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