I maltrattamenti subiti nell’infanzia sembrano essere associati sia a cambiamenti strutturali del cervello, sia a un aumento del rischio di depressione successiva. È quanto emerge da uno studio tedesco pubblicato daLancet Psychiatry. “I nostri risultati aggiungono evidenza all’ipotesi che i pazienti maltrattati potrebbero essere clinicamente e neurobiologicamente distinti dai pazienti che non hanno subito maltrattamenti”, dice Nils Opel dell’Università di Muenster, in Germania, autore principale dello studio.
Lo studio
Nils Opel e colleghi, dell’Università di Muenster, hanno preso in considerazione 110 pazienti rcoverati e in terapia per disturbo depressivo maggiore. I pazienti, reclutati tra il 2010 e il 2016, hanno completato alcuni questionari, sono stati sottoposti a colloqui e hanno effettuato risonanze magnetiche strutturali al basale e al follow-up, due anni dopo.
Al follow-up, 75 pazienti avevano avuto una recidiva della depressione e 35 erano liberi da recidive. Il maltrattamento infantile era significativamente associato alla ricaduta (odds ratio, 1.035; P = 0.045). Sia le precedenti esperienze di maltrattamento infantile che le successive recidive di depressione erano significativamente associate con una ridotta superficie corticale (OR, 0.996). I ricercatori hanno scoperto che la superficie dell’insula cerebrale ha mediato l’associazione tra maltrattamento e successiva recidiva da depressione.
I commenti
“La ricerca, in futuro, dovrebbe considerare che i pazienti maltrattati potrebbero rappresentare un sottogruppo distinto che richiede attenzione e cure specializzate”, commenta Opel, aggiungendo che “la ricerca traslazionale e clinica potrebbe considerare come i profili di rischio possano essere utilizzati per fornire opzioni di trattamento personalizzate per i pazienti depressi”.
“Non abbiamo una buona comprensione del perché alcune persone hanno un rischio maggiore di sperimentare un altro episodio di depressione dopo un recupero iniziale – aggiunge Lianne Schmaal, autrice di un editoriale di accompagnamento – Una migliore comprensione di questi meccanismi è fondamentale per sviluppare o migliorare interventi adeguati al rischio per le persone suscettibili di un peggior risultato clinico a lungo termine”.
Fonte: Lancet Psychiatry 2019
David Douglas
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)